a cura di Roberto Bazzani
Il nome di Philip “Phil” Urso, sassofonista dalle chiare origini italiane, non è molto noto anche nella schiera dei jazzofili, ed è perlopiù associato al nome di Chet Baker con il quale ha collaborato, sia pure non continuativamente, per circa 30 anni.
Nato a Jersey City, New Jersey, il 2 ottobre 1925 e trasferitosi a Denver, Colorado, a metà degli anni 30, inizia a suonare il clarinetto per poi passare al sax tenore all’età di 13 anni. Come tanti altri suoi coetanei, viene richiamato alle armi in Marina, salvandosi miracolosamente quando la portaerei in cui è imbarcato viene colpita da un bombardiere giapponese a Saipan nel 1943. Congedatosi dal servizio militare, si dedica completamente alla musica suonando fra il 1947 ed il 1951 nelle orchestre di Elliot Lawrence e Woody Herman. Si trasferisce a New York nel 1952 e lì incide quattro brani con il settetto del pianista Bill Triglia. In questo contesto svilupperà la propria sonorità ed uno stile solistico ispirato da quello di Lester Young, che poi sarà il tratto comune dei sassofonisti tenori del West Coast Jazz.
Altre collaborazioni importanti del periodo sono quelle con Kai Winding, Walter Bishop jr., Bob Brookmeyer e Gerry Mulligan, oltre al sestetto di Oscar Pettiford, comprendente lo stesso Pettiford al violoncello e Charles Mingus al contrabbasso. Nel 1953-54 suona in tour con Miles Davis. Nel 1954 inizia la collaborazione con Chet Baker, che lo aveva sentito suonare con Miles, con il quale incide in vari contesti, dal quintetto alla big band, sia in studio che dal vivo. Il disco forse più famoso e meglio riuscito di questa collaborazione è “Playboys” del 1956, comprendente anche Art Pepper al sax contralto, Carl Perkins al piano, Curtis Counce al contrabbasso e Lawrence Marable alla batteria.
Si tratta di un disco in pieno contesto californiano, nel quale Urso non sfigura nel confronto con due mostri sacri del West Coast Jazz come Baker e Pepper, ma al contrario sfoggia una serie di assoli molto misurati e di gran gusto. A proposito di questo disco, la grafica e la foto di copertina (che ritraeva una classica pin-up girl dell’epoca) non piacquero ad Hugh Hefner, proprietario dell’omonima rivista, che minacciò di citare in giudizio la Pacific Records, tanto che quando l’album fu ristampato nel 1961, il nome fu cambiato in “Pictures of Heath”, con la copertina che ritraeva gli artisti nello studio di registrazione.
Urso incide altri dischi con Chet Baker regolarmente fino a metà anni 60, quando si ritira a Denver dove suonerà con vari musicisti locali e di passaggio (incluso lo stesso Baker il 9 e 10 marzo 1985). Rende l’ultimo omaggio al grande trombettista con l’album “Salute to Chet Baker” del 2002 con Carl Saunders alla tromba, Keith Wathers al piano, Colin Gieg al contrabbasso e Paul Romaine alla batteria, un album contenente molti brani cari a Baker registrato a sedici anni dall’ultima incisione. Un tributo sorprendente e sentito ad un grande caposcuola ma soprattutto ad un amico, da parte di un musicista non molto noto, forse troppo schivo per mettersi in mostra, ma apprezzato da tutti i musicisti con cui ha collaborato. Phil Urso si spegne a Denver il 7 aprile 2008.

