a cura di Roberto Bazzani

Art Pepper
Gardena, California, 1 settembre 1925
Panorama City, California, 15 giugno 1982
Straight Life, traducibile in Italiano come “vita normale”, è il titolo dell’autobiografia e di uno degli ultimi album (anche uno dei più belli) di Arthur Edward “Art” Pepper Jr. (Gardena, California, 1 settembre 1925 - Panorama City, California, 15 giugno 1982).
Eppure niente nella vita di uno dei massimi sassofonisti bianchi è stato normale, a partire dalla nascita e dall’infanzia. Figlio di madre quattordicenne scappata di casa e di un marinaio, entrambi alcolisti e violenti, vive l’infanzia con la nonna materna.
Ben presto mostra interesse e talento nei confronti della musica, avvicinandosi allo studio del clarinetto all’età di nove anni, passando al sassofono contralto a 13 anni. Comincia presto ad esibirsi nei locali di Los Angeles quindi, all’età di 17 anni, suona professionalmente nella band di Benny Carter, per poi approdare in quella di Stan Kenton, che all’epoca proponeva un jazz molto all’avanguardia, con contaminazioni della musica colta del novecento.
La sua tecnica sopraffina lo fa molto apprezzare dalla critica che nel 1952 lo piazza al secondo posto fra i sassofonisti nel Down Beat Magazine critics poll dietro solo a Charlie Parker.
Diventa uno degli esponenti di punta del West Coast Jazz e negli anni 50 incide una serie di album rappresentativi di questo filone jazzistico, fra cui “Playboys” (1956, con Chet Baker e Phil Urso), “Collections” (1957, con Red Norvo e Joe Morello), “Gettin’ Together” (1960 – con Conte Candoli).
Purtroppo la sua esistenza è segnata dalla dipendenza dall’eroina, iniziata già negli anni 40, e dai ripetuti arresti per tale motivo (1954-56, 1960-61, 1961-64 e 1964-65), per cui la sua carriera musicale sarà segnata da numerosi stop. Ma il suo amore per la musica supera tutti gli ostacoli, tanto che durante il suo periodo di detenzione nel carcere di San Quintino, riesce a formare un gruppo con il sassofonista Frank Morgan, anche lui in carcere per gli stessi motivi.
Nonostante i problemi di tossicodipendenza, il suo livello musicale resta eccezionalmente elevato e le incisioni che riesce ad effettuare nei periodi fra una detenzione e l’altra lo dimostrano.
Dalla metà degli anni 70 farà il suo definitivo rientro in grande stile sulle scene jazzistiche. Questo periodo sarà il più fecondo dal punto di vista delle incisioni, in maggior parte per le etichette Galaxy e Contemporary, nonostante i problemi di salute che ne decreteranno la prematura morte a soli 56 anni. Molte di queste registrazioni saranno effettuate con quello che considera il suo partner ideale, ossia il pianista George Cables, fra cui quella quasi profeticamente intitolata “Goin’ Home”, appena un mese prima della scomparsa.
Insieme alla moglie Laurie darà alle stampe la propria autobiografia “Straight Life”, alla quale seguirà la realizzazione di un documentario dal titolo significativo “Notes from a Jazz Survivor”.
Art Pepper incarna suo malgrado l’archetipo dell’artista maledetto, segnato dalle dipendenze, questa volta però con il lieto fine del riscatto attraverso la disintossicazione che lo ha portato ad un prolifico periodo artistico nella fase finale della vita. Oltre che per questo, a noi piace ricordarlo per la sua arte cristallina, immutata negli anni, nonostante tutto.
