Alceste Ayroldi 

The Big Band Theory

Prefazione di Domenico Cogliandro

Editore Minimum Fax

Dalle prime decadi del secolo si è assistito in Italia alla formazione delle prime orchestre, che si sono fortemente radicate nel panorama musicale nazionale, e con l’avvento della tecnologia e la diffusione dei mezzi di registrazione, la produzione musicale orchestrale ha subito una significativa trasformazione, consentendo una più ampia diffusione della musica sinfonica e un’apertura verso nuove sonorità e generi musicali.

Tra questi, il jazz ha progressivamente assunto un ruolo sempre più dominante, accompagnato da una crescente professionalizzazione. Alla fine degli anni Cinquanta è nata a Milano la prima scuola di musica dedicata al jazz, fondata da Giorgio Gaslini, forse il primo a dare al jazz la stessa dignità della musica colta.

Un processo che è proseguito senza interruzioni fi no ai nostri giorni, e che è ampiamente documentato dalle interviste rivolte a sedici direttori/fondatori di «big band» italiane. Ricostruendo la genesi delle rispettive orchestre e rievocandone l’attività e le collaborazioni internazionali, le testimonianze di maestri come Mario Corvini e Pino Jodice, Enrico Intra e Massimo Nunzi, dimostrano quanto il jazz rimanga una realtà vitale all’interno del panorama musicale italiano, e abbia anzi conosciuto, negli ultimi anni, un’ulteriore espansione. 

Alle interviste segue un interessantissimo focus sulla nascita e sullo sviluppo della scena jazz a Palermo, che ha trovato nell’Orchestra Jazz Siciliana il suo momento forse più esaltante, qui raccontato attraverso le voci di Ignazio Garsia, Domenico Riina, Vito Giordano e Antonino Pedone.


Enrico Pieranunzi  

Bill Evans

Ritratto d’artista con pianoforte

Introduzione di Carlo serra

Il Saggiatore

Questo libro non è una biografia, è un incontro. In Bill Evans il pianista Enrico Pieranunzi racconta con piglio di studioso e passione d’artista la vita e la musica di un gigante: la storia di un’esistenza straordinaria, consumata fra i tasti di un pianoforte. 

New York, 1959. Accanto a Miles Davis e a John Coltrane c’è un ragazzo bianco dai tratti efebici, gli occhiali dalla montatura spessa, la sigaretta sempre in bocca. Sono riuniti per dare vita a uno dei più celebrati album jazz di sempre, Kind of Blue, e di quell’incanto Bill Evans rappresenta il motore e la grazia: il regista discreto che accompagna gli altri nella costruzione del capolavoro. 

Passano pochi anni e Evans siede al pianoforte del Village Vanguard, accanto a Scott La- Faro e Paul Motian. Un gruppo leggendario, che rivoluziona i tradizionali ruoli del piano trio: tre solisti che dialogano come un corpo musicale solo. La tragica morte di LaFaro pone una fine improvvisa a un esperimento musicale unico nel suo genere. Evans ammutolisce nel dolore, l’eroina arriva a lenire una depressione profonda. 

Giunto a toccare il fondo, però, il pianista risorge come una fenice. Arrivano gli anni settanta, e la sua musica torna a brillare nel formato prediletto del trio, con partner quali Eddie Gomez, Marc Johnson, Marty Morell, e nelle collaborazioni con George Russell, Tony Bennett, Stan Getz. Lo si vede appesantito, sofferente, i capelli sempre più lunghi, il volto segnato, ma ancora capace di scorgere la luce in fondo alla notte. Di ricreare gioia, per tutti quanti; fino alla fine. 

In queste pagine, Pieranunzi riesce a restituire Bill Evans e la sua aura come improvvisando su una solida traccia, mescolando le sue impressioni di ascoltatore esperto alle testimonianze di chi lo ha conosciuto e ha suonato con lui. Il risultato è un ritratto appassionato e rigoroso, un vero dialogo tra grandi musicisti.

 


Claudio Fasoli

Jazz, architetture di un azzardo

Riflessioni, vita, musiche

Sassofonista, compositore, insegnante, curatore di festival, Claudio Fasoli è uno dei maggiori jazzisti italiani del panorama contemporaneo. Jazz, architetture di un azzardo raccoglie la summa della sua lunga esperienza sotto forma di un fitto intreccio di ricordi e riflessioni. 

Libro ibrido, assieme ritratto, manuale e racconto storico, in queste pagine Fasoli ripercorre frammenti di vita alternandoli a pensieri sulla musica del Novecento, sull’arte della performance, sulla tecnica strumentale: gli anni di Perigeo – storico ensemble di jazz-rock che riuniva i più raffinati strumentisti e compositori italiani attivi negli anni settanta – e le collaborazioni internazionali con artisti del calibro di Kenny Wheeler, Lee Konitz e Dave Holland, le sperimentazioni sui sentieri della fusion e le contaminazioni tra il jazz e altre musiche – dal barocco alle culture extraeuropee. 

Appunto dopo appunto, l’esperienza di Fasoli si dipana in un ragionamento sul significato profondo del «fare musica» insieme, tra incontri e concerti, insegnamenti ricevuti e insegnamenti offerti. Una pratica fatta di architetture sofisticate e azzardi, in cui ci si deve saper scambiare velocemente e telepaticamente le idee ma si deve anche saper fare spazio al silenzio; e dove bisogna stare al comando della situazione rimanendo sempre pronti ad accogliere quell’imprevisto che nemmeno il più nutrito bagaglio di conoscenze può evitare e che è alla base della scoperta del «nuovo». Questo, sembra dirci Fasoli, è il grande insegnamento del jazz: essere sempre disposti a perseguire e creare l’inatteso, nella musica, e forse anche nella vita.