a cura di Roberto Bazzani

Michael “Dodo” Marmarosa
Pittsburgh, Pennsylvania
12 dicembre 1925 - 17 settembre 2002
Le sedute di registrazione del 1 dicembre 1945 e del 26 febbraio 1947, rispettivamente dei gruppi di Lester Young e Charlie Parker, sono considerate leggendarie dagli appassionati e critici di jazz. I due grandi sassofonisti, infatti, tornano ad incidere dopo due esperienze traumatiche: il servizio militare per il primo ed il ricovero nel Camarillo State Mental Hospital per il secondo. Le formazioni che incidono questi brani sono diverse, tranne che per due componenti: il contrabbassista Red Callender, musicista di grande esperienza che nel corso della sua lunga carriera suonerà in vari contesti, ed un talentuoso giovanissimo pianista – nelle registrazioni con Young non aveva ancora compiuto 20 anni ed era l’unico musicista bianco del gruppo – dal nome curioso: Dodo Marmarosa.
Michael “Dodo” Marmarosa nasce a Pittsburgh, Pennsylvania, il 12 dicembre 1925 da una famiglia italo-americana. Il suo nickname, Dodo, che lo accompagnerà per tutta la vita, gli viene affibbiato dai compagni di scuola che in lui vedono la somiglianza con l’omonimo uccello estinto, per via del naso pronunciato, la testa larga ed il corpo piccolo. Un classico esempio di body-shaming! Dodo si interessa alla musica e comincia a suonare il piano a 9 anni; grazie agli studi classici ben presto acquisisce una notevole capacità di lettura e di indipendenza delle due mani sulla tastiera. La sua carriera musicale comincia molto presto nelle band di Johnnie “Scat” Davis, Gene Krupa e Charlie Barnet. Con questa esordisce su disco nel 1943 nel brano “The Moose”.
Al leader, però, non piace la vena modernista del giovane pianista, che però trova presto spazio nella band di Artie Shaw fino al novembre 1945.
A dicembre dello stesso anno, come già detto, si stabilisce a Los Angeles e lì incide con il gruppo di Lester Young quattro brani (D.B. Blues; Lester Blows Again; These Foolish Things e Jumpin’ at Mesners) che lo pongono all’attenzione della critica e dei colleghi. Le tracce sono in stile Kansas City (con walking bass e accompagnamento di batteria sullo hi-hat), ma in Marmarosa è presente un notevole lirismo che va a nozze con lo stile di Young.
Nel periodo di permanenza californiana inciderà in due riprese con Charlie Parker, il mito vivente dei jazzisti bebop, la prima volta il 26 marzo 1946 (ricordiamo Ornithology e Yardbird Suite fra i brani eseguiti in quell’occasione), poi il 26 febbraio 1947, nella seduta ricordata all’inizio, incidendo quattro tracce (Relaxin’ at Camarillo, Cheers, Carvin’ the Bird e Stupendous). Nel contempo incide a proprio nome in trio dapprima con Ray Brown e Jackie Mills, poi con Harry Babasin al violoncello e lo stesso Mills alla batteria. Nonostante i riconoscimenti ottenuti da colleghi e critica, Marmarosa si rinchiude in se stesso, ha un carattere difficile e raramente suona in pubblico. Sembra che nel 1943, a Philadelphia, fosse stato picchiato da alcuni marinai che lo accusavano di renitenza alla leva. Per questo motivo era stato alcuni giorni in coma. Periodicamente accusa sbalzi di umore arrivando a distruggere un pianoforte con un’ascia.
Torna a Pittsburgh, si sposa, ma il matrimonio dura poco e dovrà presto separarsi da moglie e figlie. Gli anni 50 segnano un progressivo distacco dall’attività musicale e l’acuirsi dei problemi psichiatrici. Un breve ritorno alle scene ci sarà nei primi anni 60, con l’album “Dodo’s Back!” del 1962 in trio con Richard Evans al contrabbasso e Marshall Thompson alla batteria, ma la ribalta sarà di breve durata; nello stesso 1962 incide con due quartetti, uno con il trombettista Bill Hardman e l’altro con il sassofonista Gene Ammons. Si tratta delle ultime incisioni di Marmarosa che si ritirerà sempre più a vita privata fino ad annunciare la propria morte nel 1992, infastidito dalle telefonate di un fan a caccia di un’intervista con lui. Morte che lo coglierà – davvero - a Pittsburgh il 17 settembre 2002 a causa di un attacco di cuore. Talento precoce dalla tecnica eccezionale, a suo agio sia nei contesti swing che in quelli bop, nonostante la sua breve parabola artistica, ha dato il proprio contributo ad alcuni dei capolavori riconosciuti della musica jazz.
